La Cina, un “pianeta” da scoprire

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michele-soranzoMichele Soranzo, sinologo, dal 2008 è partner e direttore della Mandarina Servizi Shanghai, società di consulenza registrata in Cina. Nel 2006 ha fondato il sito www.vivishanghai.com con lo scopo di aggregare la comunità italiana in Cina allora in forte crescita. Il sito si è dimostrato subito un’idea vincente perché oltre ad attrarre decine di migliaia di visite ogni mese ha trovato facilmente sponsor in grado di sostenerne l’attività economicamente. È stato grazie alla visibilità di vivishanghai che sono arrivate in maniera quasi naturale richieste di assistenza, consulenza e organizzazione per viaggi business di Italiani in arrivo in Cina. Nel 2008 è stata quindi aperta Mandarina Servizi che sarebbe il ramo operativo e gestionale di vivishanghai. Mandarina offre servizi legati all’organizzazione di un viaggio di lavoro (ma anche turistico, viste le richieste per piccoli gruppi), quindi dall’interprete a hotel, auto, spostamenti etc, oltre che funzionalità più specifiche come sourcing di prodotti e materiali, Quality Control, gestione spedizioni, set up aziendale, ricerca locali per uso commercialie o abitativo per chi è in trasferimento. Attualmente e’ in sviluppo la linea rivolta alle aziende cinesi che intendono visitare aziende italiane con lo scopo di cercare collaborazioni, investimento, o acquisto di marchi e attività

Il “pianeta” Cina è un mercato molto variegato. Può dirci quali sono le aree (città o regioni) più sviluppate che potrebbero essere “target” dei piccoli o medi retailer italiani?

Variegato è la parola giusta. Molti purtroppo tendono ancora a vederlo come un mercato unico, accecati dal potenziale di una popolazione di oltre un miliardo, un dato assolutamente banale e relativo da prendere con le pinze sempre. In realtà è un paese enorme, grande quanto gli USA e con grandi differenze di cultura, gusti e abitudini all’interno, tali da soffocare ogni ottimistica previsione e, al tempo stesso, terreno fertile per azioni mirate e intelligenti di localizzazione.

 Quello che al momento conosciamo come mercato cinese è una piccolissima parte, praticamente la zona costiera che fa riferimento a Shanghai o il nord intorno alla capitale dove si concentrano le attenzioni della maggior parte degli investitori. Tutto il resto non è esatto dire che sia inesplorato, ma quasi. Parlo di città di seconda e terza fascia che contano milioni di abitanti e un buon potere di spesa, se non eccezionale in alcune cerchie di persone. È proprio qui che manca una presenza di marchi, ad esempio nell’abbigliamento che è uno dei settori chiave del made in Italy.

Quali possono essere, secondo la sua esperienza, i prodotti e/o servizi tipici del made in Italy?

Intanto direi basta con il prodotto di lusso, o almeno di non tenerlo come principale strategia di ingresso. Quando sento elogiare le “eccellenze Italiane” intendendo sempre i soliti brand mi prende lo sconforto: è l’idea di Italia intera da esportare e la nostra qualità in ogni prodotto, anche quello più anonimo e a basso prezzo. Da una parte, il rallentamento della crescita economica cinese, dall’altra i costi maggiori che la popolazione deve sopportare per vivere e le nuove tassazioni sui prodotti di lusso stanno spingendo verso un sostanziale cambiamento di stile di vita. Questo non vuol dire che il lusso non sia più ricercato, ma che si sta puntando più sulla qualità diffusa dei prodotti a dei prezzi più accessibili.
Ad esempio ora la nostra società sta compiendo una ricerca per degli investitori cinesi di un paio di province interne che vogliono proporre non tanto il made in Italy di grande marca ma qualcosa di mediamente economico, sportivo e casual che sia identificabile come italiano. Ma soprattutto quello che cercano ora è uno stile che piaccia a loro visto che hanno sempre più maggiore confidenza nei loro gusti e richiedono qualcosa che sia sì di impronta straniera, ma anche più autoctono. Quindi il made in italy puro e originario rischia di diventare una chimera per quelli che si ostinano a volerlo proporre come qualcosa di naturale per ogni cultura. È necessario sviluppare partnership con aziende locali e smetterla di aver paura di essere copiati. Ormai il mercato è in evoluzione, la copia non attira più, le aziende cinesi cercano adesso di ingrandirsi come immagine e organizzazione attraverso alleanze e accordi con aziende straniere per creare qualcosa di nuovo e originale che penetri davvero il mercato domestico a lunga scadenza. Quindi direi che c’è questa tendenza ora a cercare di allargare l’esperienza “straniera” a qualcosa di tutti i giorni. La stessa cosa con le calzature. Sul food andrei più cauto, perché si tocca il gusto di una popolazione che sulla cucina non ha niente da invidiare alla nostra, anzi! Purtoppo tanti fanno troppo affidamento sulla nostra presunta superiorità mediterranea considerando la Cina come una tavola vuota che aspetta solo di essere imbandita. Niente di più falso. Il problema vero del Paese ora sono le sofisticazioni alimentari, la gente cerca sicurezza anche a costo di pagare di più, ma non vuol dire che si riversano su pasta e capperi nostrani. C’è spazio per il biologico, ma che sia in linea coi loro gusti: latte in polvere, miele, frutta tanto per fare degli esempi. Il vino è sicuramente un prodotto che ha potenziale anche fuori dalle città di prima fascia  ma è necessario andarci per gradi e con progetti di lunga durata e fortemente legati al territorio, quindi con una logistica adeguata e soprattutto una promozione continua ed efficace.

Quali possono essere le modalità di entrata in Cina offerte ai retailer italiani?

Direi che le catene commerciali sono sempre benvenute in Cina, dove si privilegia il grande a discapito del piccolo. Mi capita di avere dei clienti italiani che vogliono aprire piccole attività a Shanghai e la cosa che vedo spesso è l’impreparazione e la difficoltà di capire che chi affitta un locale, per esempio, richiede garanzie che non sono solo economiche, ma commerciali: ad esempio di vedere il progetto ben illustrato anche graficamente e in cinese, di capire che società c’è dietro, se il marchio è conosciuto all’estero e se hanno aperto già negozi in Italia o altrove. Rispetto a un 5-6 anni fa, ora a Shanghai e nelle altre grandi città sono molto selettivi, non basta andare con una valigetta di soldi per ottenere un locale.
Si può entrare in Cina come società interamente straniera investendo direttamente e interamente nell’operazione, oppure in società con un partner locale. I costi di apertura di un esercizio a Shanghai sono molto alti, mediamente parliamo di un 25-20 yuan al metro quadro al giorno (qui si calcolano così, moltiplicato per 30 giorni) ma in certe zone si arriva anche a 60-80 yuan/mq/giorno, basta fare un po’ i conti per capire che tipo di investimento è richiesto. Considerare zone fuori Shanghai è un segno di maturità aziendale e visione ampia: mi rendo conto che tutti vogliono stare a Pechino, Shanghai e al massimo a Canton ma in Cina esistono tante città sopra i 4-5 milioni di abitanti e con un buon potere di spesa, raggiungerle e stabilire operazioni sul posto è la sfida attuale. Dopotutto anche i cinesi presenti in Italia sono su tutto il territorio, non soltanto a Milano o Roma. Completamente trascurato è invece il canale internet, considerato solo un accessorio (come è in Italia) quando in Cina è diventato ormai il principale, dove passano miliardi di transazioni. I cinesi come gli asiatici in generale hanno un approccio diverso alla tecnologia e all’innovazione, esistono siti di online shopping in confronto ai quali i nostri omologhi sfigurano per offerta e funzionalità, anche i più conosciuti, eppure tanti che vengono in Cina hanno modelli di retail ob soleti che non ne tengono conto, oppure al massimo aprono il loro bel sito che spesso non viene nemmeno indicizzato a dovere.

Quali sono possibilità offerte ai franchisor italiani? (costituire una società in loco, master franchising, ecc.)

Costituire una società autonoma in loco è sempre la via più auspicabile, allo stesso tempo ci si può però trovare con una struttura indipendente sì ma fuori dai binari del mercato reale e delle consuetudini del retail locale, cui servirà del tempo per mettersi sui giusti binari e organizzarsi nel migliore dei modi. Bisogna quindi avere una grande visione e capacità di investimento sul medio periodo. Oppure ci si può affidare a una società locale che sviluppi presenza del proprio marchio e vendite, quindi partendo già da una piattaforma avviata dove il problema maggiore diventa il controllo, ma qui ci sono vari strumenti che sarebbero da esaminare con un legale nel dettaglio. Altra strada che sembra più attuale è quella di sfruttare la voglia di aziende locali ormai dai grandi capitali a internazionalizzarsi e collaborare in senso ampio con aziende straniere. Insomma siamo già oltre la classica JV, le opportunità sono diverse ma bisogna approcciarsi con una mentalità possibilista e giocare la partita il più a lungo possibile.

Quali supporti tecnico-informativi sono disponibili in loco per le imprese interessate al mercato cinese? (Internet, uffici ICE, ambasciate, ecc.)

Parlando di Shanghai, oltre ai canali istituzionali che uno trova facilmente esistono diverse società di consulenza in grado di offrire supporto e una prima base per le proprie operazioni, anche in virtual office che abbatte i costi di un primo ingresso. Ne esistono di locali anche di ottimo livello o straniere, e naturalmente di italiane. Anche qui bisogna cercare in base alle proprie esigenze e mai accontentarsi di uno solo perché parla la propria lingua. Se ci si sposta fuori bisogna adattarsi anche con chi l’italiano non lo parla, importante è raccogliere informazioni e vagliarle nella prima fase e nel modo più critico possibile. Spesso non è schiacciando un tasto che si hanno le informazioni richieste, vanno messe insieme e analizzate anche col coraggio di riconoscere le crepe nella propria idea iniziale e metterci riparo, oppure abbandonare il progetto se non ci sono le condizioni, la Cina non è il solo mercato dopotutto.

Michele Soranzo
michele.s@mandarinaservizi.com

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