A MILANO ARRIVANO I PIZZOCCHERI BIANCHI DELLA VALCHIAVENNA

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Pizzoccheri bianchi della Vachiavenna lavorati secondo una ricetta secolare, vini rossi, formaggi e salumi affinati nel crotto, una grotta montana naturalmente ventilata utilizzata per stagionare i prodotti. E’ il “tesoretto” enogastronomico che il ristorante Crotto Quartino di Santa Croce di Piuro (SO) propone ai milanesi con la sua prima apertura fuori dai confini valchiavennaschi, in via Dionigi Bussola 9, zona Navigli.

I pizzoccheri bianchi 1930 rappresentano il piatto simbolo della Valchiavenna e vengono ancora “pizzicati” a mano a differenza dei più comuni pizzoccheri neri della Valtellina, vicini di casa, che, per ragioni di comodità vengono stesi a tagliatella. Al Crotto Quartino vengono preparati proprio dal 1930 con farina 00, acqua, sale, una piccola aggiunta di pane ammollato nel latte per poi essere conditi con abbondante formaggio, salvia croccante e abbondante burro. Dall’impasto, una volta pronto, vengono appunto pizzicati a cucchiaio i singoli Pizzoccheri, che si presentano come gnocchetti bianchi dalla forma irregolare, per essere poi cotti in acqua e conditi. Il formaggio utilizzato è il “Piuro 180”, affinato in Crotto appunto per 180 giorni per dare cremosità e sostanza al piatto finale. Il pizzocchero bianco della Valchiavenna è indicato tra i prodotti agroalimentari tradizionali della Regione Lombardia.

Il menu del locale di nuova apertura nel capoluogo lombardo propone, oltre ai Pizzoccheri bianchi, un percorso di degustazione orientato alla convivialità: il menù “Autentica Valchiavenna” prevede una selezione dei prodotti e dei piatti più iconici della valle, con possibilità di riordinare ciascuna portata, purchè non si sprechi nulla. E’ possibile anche scegliere alla carta, spaziando tra i prodotti del territorio e le lavorazioni dell’antica cucina povera montana. In menu compaiono, infatti, i salumi dei Luganigheri, gli antichi salumieri locali, ovvero la Brìsaola, antesignana della bresaola valtellinese, più marezzata e stagionata in Crotto, e il Bastardèll, salamino misto di manzo e maiale; il tagliere di formaggi locali come Scilano, Monte e Fiore di Crotto; gli sciatt Frumentùn, dal nome dialettale del grano saraceno; la polenta taragna della Valchiavenna condita con tanto burro e tanto formaggio; le costine di maiale Mazìglia, che prendono il nome dal rito contadino della lavorazione della carne, arrostite lentamente su pietra dopo una marinatura con il sale ai 10 aromi, e sfumate con aceto di mele. Tra i dolci spicca invece la torta Fioretto “Nonna Alba”, una focaccia al burro e zucchero con confettura di albicocca e profumo di aneto selvatico, il “fioretto” delle vigne valchiavennasche.

Il crotto, da cui prende il nome anche il ristorante annesso, è la cantina costruita con lo scopo di imprigionare la sorgente d’aria fresca, chiamata localmente “Sorèl”, ovvero “respiro della montagna”, che proviene dalla roccia e dal sottosuolo in diversi punti della Valchiavenna. Una sorta di frigorifero naturale che mantiene temperatura ed umidità costanti, oltre a consentire un’ottima ventilazione per la stagionatura e la conservazione di salumi, formaggi e vino. Queste sorgenti d’aria differiscono tra loro, generando dei micro-climi diversi all’interno dei circa 900 crotti attualmente censiti con temperature che oscillano tra 0 e 15 gradi e con umidità elevata, mediamente sopra il 70%. In questo contesto, nel Medioevo, nasce la Brìsaola, resa famosa nei secoli successiva come Bresaola in Valtellina, lavorata dai maestri salumieri valchiavennaschi “Luganigheri”, le cui competenze erano talmente note anche al di fuori della valle che furono voluti a Venezia per divulgare il loro sapere all’interno di un’apposita scuola di salumeria. Il Crotto Quartino in Valchiavenna nasce ufficialmente nel 1627, come riportato nel primo documento di compravendita in possesso dei titolari, anche se la struttura originaria si stima che fosse presente già due secoli prima.

Storicamente, in diverse zone alpine non solo italiane, il termine “pizzocchero” indica un formato di pasta, a prescindere dal tipo di farina impiegata, e solo in tempi recenti è stato associato al piatto finito, in particolare alle note tagliatelle di grano saraceno valtellinesi. In Svizzera, ad esempio, nel cantone dei Grigioni si usa “pizochel” e in Ticino “pizòcar” per lavorazioni con farina, burro e formaggio realizzate a cucchiaio. Il termine deriva da “pizzicare”, con riferimento o al probabile antico modo di attingere da un piatto unico centrale sulla tavola, come si usava con la polenta, oppure alla “pizzicata” del cucchiaio dall’impasto in fase di preparazione.

I pizzoccheri di Chiavenna si differenziano da quelli di Teglio per il tipo di farina impiegata. A Teglio, a quota 850 metri, e in Valtellina, si usava la farina di grano saraceno, che cresce anche localmente. Al contrario, a Chiavenna, veniva impiegata la farina bianca perché fin dall’epoca romana passavano i traffici commerciali sulla linea diretta tra la Pianura Padana e il centro Europa, e perché all’epoca il grano saraceno era considerato scadente. Altri aspetti che differenziano i pizzoccheri neri di Teglio dai pizzoccheri bianchi di Chiavenna sono l’uso della patata o di verdure quali verza e costa nonchè la forma a tagliatella, dettata esclusivamente da ragioni di praticità e comparsa solo negli ultimi decenni.

A cura della Redazione

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