DAL RING ALLA SFIDA PER LA VITA: DANIELE QUARANTA, INVINCIBILE FORZA DELLA NATURA

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I social networks, rivoluzione dell’epoca moderna, da sempre suscitano critiche e apprezzamento; di fatto molto dipende dal modo con cui si utilizzano. A volte sanno essere di grande utilità, sia come strumento di comunicazione e divulgazione di saperi, sia di interconnessione umana.

È proprio questo il caso di Daniele Quaranta, annata ‘66, padre di tre figli e nonno di otto nipoti, circondato dal calore della sua numerosa famiglia, stretta intorno a lui per infondergli forza, in aggiunta a quella che gli è propria.

I suoi post su Facebook divulgano personale conoscenza e creano immediata empatia ed interconnessione umana; colpiscono per profondità e saggezza, ma anche per la grande dignità con cui, ormai costretto sulla sedia a rotelle, narra il suo cambiamento di vita, spronando tutti ad assaporarla in pienezza, perché ogni attimo è una ricchezza preziosa.

Anche in tempi non sospetti ne apprezzavo il modo di esprimersi e, pur non conoscendoci personalmente, grazie ai social network, eravamo connessi, senza tuttavia immaginare che un giorno saremmo approdati a un dialogo più intenso e personale. Di seguito il frutto della sua volontà di continuare ad esprimersi ed essere fonte di forza e ispirazione per molti. La modalità di comunicazione è nuova, ma non meno efficace, quella oculare, uno degli effetti dello tsunami che gli ha cambiato la vita.

Daniele Quaranta, amante della vita e delle sfide?

“Amo la vita da sempre e ne ho combinate, come si suol dire, di cotte e di crude…..”, sorride. L’amore per “la dolce vita” si è sempre accompagnato al desiderio di affrontare sfide. Sin da ragazzo ho imparato a sfidare chiunque; era per me un modo di confrontarmi con la vita, con il prossimo, non per prevaricare, ma per apprendere, per rafforzarmi e crescere. In questo modo mi sono formato, non solo in prestanza fisica, quanto per di più in forza interiore. Pronto a combattere le sfide della vita, prima nello sport pugilistico, mia grande passione, a soli 15 anni sono stato chiamato dalla nazionale. Ho sfidato chiunque, anche le persone che provenivano dalla strada, con origini umili, esattamente come me.  Quando si è giovani si fanno tante stupidate e si rischia poi di pagarle con conseguenze serie, ma ho sempre avuto testa e l’amore per la vita mi ha sempre fatto agire con saggezza”.

I tuoi post sui social network sono profondi e ricchi di riferimenti biblici, quanto conta la dimensione spirituale per te?

“Credo vivamente in Dio. Ho letto la Bibbia, quasi tutta, e ho spesso avvertito la presenza divina nella mia vita, sino ad avere la grazia di sperimentare un’esperienza personale diretta della Sua esistenza. È sempre difficile descrivere quando ciò accade, si rischia di banalizzare o risultare ridicoli. Mi limito a dire che quando si vive la presenza divina sulla terra è un passaggio che lascia un segno indelebile, che trasfigura. La vita si fa densa di senso e nulla può essere vissuto dando per scontato o con la superficialità di prima”.

Nulla è più come prima, dalle sfide sul ring alla sfida per la vita. Come è accaduto questo passaggio?

“È avvenuto all’improvviso e senza alcun motivo. Una mattina di tre anni fa, a settembre, reduce da una spensierata vacanza estiva con gli amici di sempre, mi alzo dal letto per recarmi come ogni giorno al lavoro. Ma subito capisco che qualcosa non va, quel gesto naturale, meccanico, quotidiano non è più un’ovvietà. Non provo alcun dolore, eppure inspiegabilmente fatico a deambulare, non avverto più il piede sinistro e all’improvviso mi accorgo di poterlo solo trascinare. Non capisco il motivo dell’impedimento, ma non c’è nulla da fare, per quanto desideri camminare, il mio piede non risponde più ai comandi della volontà e della mente. Non posso sapere che quel segnale è l’inizio del combattimento più arduo che la vita mi chiede di affrontare”.

Un nuovo avversario da fronteggiare, indecifrabile, come si può non soccombere all’instante?

“Non conoscevo quell’avversario, se non per sentito dire, ma fino a quando non ti colpisce personalmente resta una situazione distante, immaginabile solo come accadimento altrui e non nella propria condizione esistenziale. Un misterioso fantasma, divoratore di carne umana, aveva iniziato ad agire in me, in modo imperscrutabile e disarmante. Mi sono sottoposto subito a molteplici esami e visite specialistiche per decifrare il mistero e impedirne il progredire, sino ad arrivare alla diagnosi, sclerosi amiotrofica laterale, SLA. Impossibile dimenticare anche solo il suono di quelle parole e la sopraggiunta incredulità e angoscia di quell’istante. Il mondo mi era cambiato improvvisamente e in modo nefasto. Sapevo che iniziavo una nuova sfida, la più dura da affrontare”.

Come cambia la vita con un verdetto così?

“Cambia radicalmente e in un istante. Ho ricevuto il pugno in faccia più duro, il gancio che più inebetisce, il rovescio più irruento e scombussolante. Dalla “dolce vita” e dalle sfide sul ring, per divertimento e passione, la SLA mi ha catapultato in un inferno spaventoso e incontrollabile. Lentamente in 3 anni, dal dì del verdetto, mi sono ritrovato prigioniero del mio corpo, quel corpo che avevo così nel tempo rafforzato. La SLA mi ha parzialmente paralizzato: dai miei piedi ha divorato prima le mani, poi le gambe, poi le braccia, sino a togliermi peso, voce e capacità di alimentarmi e deglutire. Insomma mi ha quasi messo al tappeto.”

Dove si trova la forza per combattere?

“Non è affatto facile. Attingo alle poche forze che mi sono rimaste e cerco di tenere testa al più forte avversario che abbia mai incontrato. Ciò che mi sorregge è la fede in Dio e la sua parola salvifica è ciò che mi da la forza di non abbattermi e mi tiene in piedi”, risponde con un sorriso di una bellezza disarmante, proprio di chi è illuminato da una saggezza e profondità d’animo che solo la grazia di una dimensione spirituale è capace di generare. Da quel sorriso si sprigiona un’incontenibile voglia di vivere che neppure le lacrime celate e trattenute riescono ad arginare.

In una sfida così difficile è possibile cogliere qualche cosa di positivo?

“Ogni circostanza, anche quella in apparenza più nefasta, ha in sé qualcosa di positivo; un piccolo seme capace di produrre meravigliosi e sorprendenti frutti. La SLA mi ha fatto scoprire una forza interiore che non proviene da me, dalla mia natura umana, ma da Dio, Colui che mi ha dato la vita. Una forza che in questi tre anni mi tiene in vita”.

Ci sono stati recenti passi avanti nella ricerca per l’individuazione di una soluzione a questo terribile male, ma ancora si attende l’antidoto. Cosa andrebbe fatto a tuo avviso?

“La SLA conduce a percorrere, contro la propria volontà, una via crucis fatta di ospedali, visite specialistiche, presso diversi centri e medici, ricorso a medicinali e “utensileria”, come la definisco io, varia ed eventuale, spesso purtroppo palliativa o non del tutto efficace. Occorre intensificare gli investimenti nella ricerca e nella sperimentazione per addivenire a una cura risolutiva, in risposta a una malattia su cui da tempo si indaga e che ormai colpisce una fetta sempre più significativa della popolazione. Istituzioni e case farmaceutiche dovrebbero, a mio avviso, cooperare in modo più sinergico e celere nell’interesse della salvaguardia della salute del paziente”.

Cosa consigli a chi si trova ad affrontare la tua stessa sfida?

“Consiglio di credere fortemente in Dio perché la speranza di vivere è nelle sue mani. Se la guarigione fisica è contemplata nel suo piano esistenziale, il miracolo è certezza; in caso contrario, non occorre temere perché la guarigione è comunque certa, sarà spirituale, condizione ancor più elevata e illuminata. La SLA è un nemico solo in apparenza invincibile e per coloro che credono in Dio e come me la combattono con fede, l’epilogo non sarà mai la morte, ma la vittoria sulle malattie degenerative”.

A cura di Laura Lamarra

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