BEATRICE VENEZI: AL TEATRO COLÓN MI SENTO A CASA

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 La direttrice d’orchestra italiana racconta la sua esperienza al Teatro Colón di Buenos Aires, il legame con il pubblico argentino e la visione della musica come ponte tra culture. Con uno sguardo rivolto al futuro e un amore dichiarato per le terre argentine

Nel novembre 2024 è stata nominata direttore principale ospite del Teatro Colón di Buenos Aires. Cosa ha significato per lei ricevere questo incarico?

È un grande onore far parte di un’équipe così prestigiosa come quella del Teatro Colón, un tempio della musica a livello mondiale. Ho debuttato lì a maggio 2024 con Turandot, in occasione del centenario del mio conterraneo Giacomo Puccini: un’esperienza che ha creato da subito un’intesa profonda con i musicisti. Sentirsi a casa in un luogo così iconico è qualcosa di straordinario.

Ha diretto Un ballo in maschera di Verdi, assente dal cartellone da dieci anni. Quali emozioni e responsabilità ha sentito?

Un’opera complessa e completa, che attraversa tragedia e ironia, con colpi di scena musicali e drammaturgici. È stato un lavoro di cesello: unire mondi sonori diversi, curare i dettagli vocali e orchestrali. Una sfida avvincente che richiede grande concentrazione e sensibilità.

Come ha vissuto l’incontro con il pubblico argentino e l’orchestra del Colón?

Un’esperienza unica. Il teatro è sempre gremito, il pubblico appassionato e rispettoso. Ho percepito un amore viscerale per la cultura, un senso di appartenenza raro. Colpisce la dedizione dei corpi stabili: indossano la “camiseta” del Colón con orgoglio. L’umiltà e il rispetto sono alla base di ogni performance.


Durante il concerto “Puccini 100” al Teatro Coliseo ha diretto un omaggio al grande compositore. Come ha selezionato il repertorio?

Abbiamo scelto le voci prima del repertorio, lavorando con i giovani dell’Accademia del Teatro Colón. Abbiamo alternato pagine celebri a brani meno noti, per sorprendere e coinvolgere il pubblico argentino. Un progetto che unisce formazione e divulgazione di alto livello.


Il ciclo “Divina Italia” ha messo in luce il potere culturale della musica. Come si rafforza il legame tra Italia e Argentina attraverso l’arte?

Italia e Argentina condividono un DNA culturale profondo. Rafforzare il vincolo culturale significa rinsaldare un rapporto che, in passato, è stato trascurato. Vorrei vedere più scambi tra il Colón e le istituzioni italiane: la cultura è un ponte potente, un alleato anche nei rapporti diplomatici ed economici.

Come ha gestito i rapporti diplomatici ed economici mantenendo la profondità richiesta dalla direzione musicale?

C’è stato molto interesse ma anche rispetto da parte dei media. Le critiche musicali sono state competenti, puntuali e imparziali, certamente più che in Italia. Ho apprezzato la qualità del confronto, anche nei tempi e nei modi: un approccio che valorizza il lavoro artistico.

Ha spesso citato figure femminili carismatiche. In che modo l’Argentina ha influenzato la sua visione della femminilità artistica?

Il mito di Evita Perón è un esempio potente. In Argentina ho percepito una solidarietà femminile autentica, una rete tra donne che in Italia è più rara. È stato un incontro culturale che mi ha arricchita e ispirata anche artisticamente.


Quanto conta sentirsi parte di un luogo per trasmettere emozioni autentiche?

È fondamentale. Conoscere usi e costumi locali migliora la relazione con l’orchestra e con il pubblico. Capire l’anima di un popolo significa saper parlare alla sua sensibilità musicale. In Argentina, questa empatia ha funzionato profondamente.


Sta pensando a progetti educativi o creativi legati alla sua esperienza latino-americana?

Per ora sono ferma con la scrittura, ma mi piacerebbe tradurre i miei libri per il pubblico argentino. In Argentina c’è un amore per la lettura impressionante: librerie ovunque, sete di conoscenza, pensiero critico. Valori rari e preziosi.

Cosa l’ha colpita del panorama artistico argentino e quali collaborazioni sogna di realizzare?

La varietà e la ricchezza della scena. L’esistenza di un’orchestra nazionale per la musica tradizionale argentina mi ha colpita profondamente: è un’idea brillante, un gesto d’amore verso la propria cultura. Mi piacerebbe riportarla in Italia. E sto lavorando a un omaggio a Luciano Pavarotti, che ebbe un legame speciale con Buenos Aires.

Può anticiparci i prossimi impegni internazionali, a partire da questa intensa avventura argentina?

Certo. In Argentina, i prossimi appuntamenti al Teatro Colón saranno il gala di agosto per i 100 anni del corpo di ballo, La Traviata a novembre e il concerto di chiusura dei 100 anni dei corpi stabili del Teatro a dicembre, con la Seconda Sinfonia di Mahler. A gennaio 2026 sarò in Italia per Ascesa e caduta della città di Mahagonny a Trieste e Carmen a Pisa. Tra luglio e l’autunno 2025 dirigerò concerti con Plácido Domingo a Bangkok e Santo Domingo, e sarò anche al Teatro Solís di Montevideo e al Municipale di San Paolo. Infine, tornerò al Colón per l’inaugurazione della nuova stagione con Cavalleria rusticana e Pagliacci.

Un’ultima nota: ha raccontato di amare l’Argentina anche per un legame più intimo. Ce lo racconta?

Sì, assolutamente. Innanzitutto, il mio compagno è argentino. Lui è venuto in Europa quando era piccolo e conosceva molto poco del suo Paese prima che iniziassimo a frequentarlo per il mio lavoro; è stato bello scoprirlo assieme, angolo dopo angolo. E con lui ho scoperto anche che l’Argentina mi ricorda la mia infanzia: andare a cavallo, stare nella natura, vivere pienamente l’aria aperta. È un legame profondo, emotivo. Lì ritrovo una parte autentica di me stessa.

A cura di Christian Gaston Illan

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