RENATO BOSCO IL VISIONARIO DI SAPORÈ

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Le sue eccellenze sono il risultato di uno studio meticoloso, di una ricerca per gli ingredienti di alta qualità e di una valorizzazione delle materie prime che hanno un forte legame con i territori, di una innovazione figlia della tradizione, di una sperimentazione che si fa influenzare dai nuovi mondi dell’arte culinaria. Creatore di un nuovo concetto di pizza gourmet e di locali dal design curato nei dettagli e ben studiato, l’estro creativo del maestro-ricercatore Renato Bosco continua a regalarci delle esperienze uniche e sensoriali. L’ultimo SAPORè, aperto di recente con la collaborazione anche dei fratelli Borgia, è la perfetta sintesi delle sue passioni, della sua maestria, della sua professionalità, della sua identità, della sua filosofia di pizza. Sempre con una visione di lungo periodo, sempre con l’idea nuova di intendere la pizza.

Sin dove si spingerà la sua innovazione e la tua ricerca? Dove vuole arrivareLa mia ricerca non ha un punto d’arrivo preciso, perché per me la pizza è un linguaggio in continua evoluzione. Voglio continuare a esplorare nuove tecniche, ingredienti e contaminazioni, spingendomi oltre i confini della tradizione per creare emozioni autentiche attraverso il gusto. L’innovazione è un viaggio, non una destinazione.

Quanto contano per SAPORè le location, gli ambienti e le atmosfere?
Molto. L’esperienza che offriamo parte già dal luogo: l’architettura, il design, l’atmosfera. Non si tratta solo di mangiare una pizza, ma di viverla. Ecco perché scelgo location che parlano di contemporaneità, come questa a Milano vicino al Bosco Verticale, che è simbolo di un nuovo modo di vivere e progettare.


Come nascono i percorsi e le degustazioni della sua pizza gourmet, come “Pizza Crunch” o la “Mozzarella di pane”?
Nascono da intuizioni, studi e tanto ascolto. Osservo le esigenze dei clienti, studio le farine, i metodi di lievitazione, gli impasti. Ogni degustazione è un racconto, ogni creazione un esperimento che diventa memoria. La “Pizza Crunch”, ad esempio, è nata dal desiderio di offrire una consistenza completamente nuova. La “Mozzarella di pane” è una provocazione sensoriale, una forma diversa di gustarlo.


Che influenze hanno le tradizioni e le contaminazioni di altre culture? Penso ad esempio alla sua “Mozzarella di Pane”, che sa molto di influenza cinese.
Le contaminazioni sono fondamentali. “Mozzarella di Pane” si ispira infatti al Bao cinese, ma lo reinterpreto con la mia sensibilità. Mi piace osservare le culture gastronomiche di tutto il mondo: non si tratta di copiare, ma di lasciarsi ispirare, contaminare, creare connessioni. La cucina è dialogo.

C’è un ingrediente che non è ancora riuscito a utilizzare?
Sì, ci sono prodotti che mi incuriosiscono. ma che richiedono tecniche particolari per essere valorizzati. Ad esempio, alcuni ingredienti molto umidi o troppo sensibili alla temperatura non si prestano ancora alle mie cotture. Ma la sfida è proprio questa: superare i limiti tecnici attraverso la ricerca.


Quanto contano forma, consistenza, lievitazione, cottura? E cosa rappresentano invece passione, studio e ambizione?
Tutto ha un peso. La tecnica è fondamentale: lievitazione, consistenza e cottura determinano la qualità finale. Ma senza passione, ambizione, curiosità e studio, la tecnica resta vuota. È la combinazione tra cuore e cervello che fa la differenza.


Non trova che ci siano troppi pizzaioli star? Che rapporto ha con i pizzaioli tradizionali?
Il mondo della pizza è cresciuto tantissimo, ma non è un problema se crescono anche la qualità e la consapevolezza. Credo che ci sia spazio per tutti, purché ci sia sincerità nel lavoro e rispetto per la materia prima, anche se i linguaggi a volte sono diversi.

Con chi farebbe una pizza a 4 mani?
Mi piacerebbe farla con un panificatore, magari uno che lavora con cereali antichi, per creare un ponte tra pane e pizza. Oppure con uno chef di cucina asiatica, per vedere cosa può nascere dalla fusione di due mondi così diversi.


Progetti futuri?
Tanti. Alcuni ancora in fase embrionale, altri più concreti. Mi piacerebbe approfondire il concetto di “pizza come esperienza”, unendo tecnologia, neuroscienza e gusto. E poi, forse, portare Saporè fuori dall’Italia, in contesti dove la pizza è ancora tutta da raccontare.

A cura di Marco L. Tosi

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