
Nei suoi piatti prevalgono qualità, semplicità e passione. Le sue ricette, in parte debitrici alla mamma e al papà, non finisco mai di raccontare una storia, una tradizione, un ricordo, una nostalgia. I suoi menù sono un libro aperto di sapori che richiamano le terre della Puglia, l’amore per la Campania, i profumi della Calabria e della Sardegna. Matteo Mottola, con il suo nuovo “Succulenta”, nel cuore moderno e sostenibile di CityLife, celebra cosi il suo Sud. Il nuovo ristorante è infatti un buon e appetibile esempio di come una certa cucina “popolare”, intensa e autentica, possa essere sempre memoria che diventa contemporaneità. Tradizione che incontra una cucina moderna. Ricordo che celebra una ricetta. Piatti come i suoi autentici “Fusilli freschi alla calabra”, la profumata “Genovese napoletana”, le golose “polpette di Podolica” o le sue appaganti “orecchiette alle cime di rapa” fanno evocare in Matteo (e in tutti noi) la sua storia personale. La cucina di “Succulenta” offre un mosaico di sapori, colori e profumi. Esperienze e tradizioni che condivide con tutti i suoi ospiti, facendoli immergere quotidianamente nel ricordo della sua e nostra storia, delle tradizioni dei territori e dei ricordi legati alla cucina di casa nostra. Un giusto elogio alla sua passione e alla cucina delle sue (anzi, nostre) terre!

Che definizioni daresti al tuo nuovo ristorante “Succulenta”?
“Succulenta” è casa. È il profumo della domenica, quando in cucina si respirano sughi lenti, pane appena sfornato e cime di rapa bollite nell’acqua del nonno. È una trattoria contemporanea che custodisce lo spirito di un’etichetta vintage: un luogo che ti accoglie come una volta, ma con lo sguardo di oggi. Ogni piatto ha una storia, ogni profumo un ricordo.

Cosa rappresenta la Puglia per te?
La Puglia è tutto. È famiglia, radici, calore. È il punto di partenza e di arrivo della mia cucina: i gesti di mia madre, le pizze di mio padre, l’orto di mio nonno. Ogni volta che metto le mani in pasta, torno lì, tra i vicoli assolati del mio paese.
Quali sono state le esperienze che ti hanno formato?
Ho avuto la fortuna di lavorare per oltre vent’anni accanto a mia madre chef e mio padre pizzaiolo: entrambi mi hanno insegnato la disciplina e il rispetto per il mestiere. Poi l’arrivo a Milano mi ha aperto la mente: ho conosciuto nuovi ingredienti, nuovi metodi di lavorazione, nuove persone. Qui ho capito che la tradizione può evolvere, restando fedele a sé stessa. È stato un percorso di crescita continuo, fatto di ricerca e di curiosità.

I tuoi piatti partono dalla Puglia, per toccare la Campania e arricchirsi con qualche prodotto e ricetta della Calabria e della Sardegna. Come nascono i tuoi menù?
Ogni menù nasce da un ricordo e da un ingrediente vero. Spesso parto da una preparazione di famiglia – come le polpette al ragù o la pasta fatta in casa – e poi la reinterpreto con influenze di altre regioni del Sud che sento affini. La Campania, per esempio, è una grande passione condivisa con tutta la mia famiglia, mentre le seadas, nel menu dolci, tipiche sarde, sono un omaggio a mia moglie.

Il piatto simbolo della tua storia?
Senza dubbio le orecchiette con le cime di rapa. Le preparava mia nonna, poi mia madre, e oggi io continuo quella tradizione. È un piatto povero, semplice, ma con una forza incredibile: racconta la Puglia più autentica, quella che vive di terra e di affetti. Le cime arrivavano dall’orto di mio nonno e ogni volta che le cucino mi sembra di risentire quella stessa felicità.
Tua moglie è sarda: un piatto che non hai mai fatto, ma che vorresti prepararle come sorpresa per un suo compleanno?
Vorrei prepararle dei culurgiones fatti interamente a mano, solo per lei. Li ho cucinati una sola volta, per ironia della sorte non per lei. Mi piacerebbe sorprenderla con la loro forma intrecciata, simbolo di unione e di amore.

Che cosa serve per fare un grande piatto?
La verità. Servono amore e rispetto per la materia prima, conoscenza del prodotto e la voglia di trattarlo nel modo giusto. La semplicità non è banalità: è equilibrio, è saper esaltare quello che la terra e il mare ti danno. E poi serve cuore. Senza quello, nessuna ricetta funziona davvero.
Come si distingue “Succulenta” dagli altri ristoranti?
Succulenta si distingue per la sincerità dei sapori. Ogni piatto nasce da ingredienti autentici, provenienti dai luoghi di origine delle ricette: la provola di Agerola, la pasta Gentile, il pomodoro San Marzano, le mozzarelle del casertano. È un luogo dove la tradizione non si imita: si vive, si racconta, si fa assaggiare.
Si dice che Milano sarà sempre più esclusiva e per pochi “eletti”. Che cosa ne pensi?
Milano è una città che dà tanto, ma chiede tanto. Non credo sia per pochi eletti: è una città meritocratica. Se lavori bene, con serietà e costanza, ti apre le porte. Se cerchi scorciatoie, ti chiude fuori. Qui c’è spazio per chi ha passione e voglia di fare, e questo è il bello di Milano.

Che tipo di pubblico ti sceglie?
Abbiamo un pubblico vario, ma molto attento. Durante il weekend, la prima fascia è quella di coppie e clienti più adulti, poi arrivano le famiglie e, più tardi, i giovani. Tutti accomunati dalla voglia di condividere: Succulenta è un ristorante conviviale, dove si viene per mangiare bene e stare bene.
A quando un tuo ristorante all’estero? Qualche progetto futuro?
Al momento non penso all’estero: voglio consolidare Milano e renderla la mia seconda casa. Ma se un giorno dovessi aprire altrove, mi piacerebbe tornare in Puglia, là dove tutto è cominciato.
A cura di Marco L. Tosi


