A tu per tu con Luciano Bonetti (Foppapedretti), uno degli squali di Shark Tank

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Presidente del cda di Foppapedretti S.p.A., la società a capo del gruppo industriale, è Luciano Bonetti, 67 anni, marito della primogenita di Ezio, Pinangela, una lunga carriera all’interno dell’azienda, ingegnere elettrotecnico per formazione e… squalo per vocazione. Sì perché Bonetti è uno dei cinque investitori di Shark Tank, il fortunato programma di Italia 1 dove aspiranti imprenditori raccontano la loro idea e il loro business plan a potenziali investitori detti appunto “squali”.

A Bonetti abbiamo chiesto qualche consiglio per i giovani startupper.

Partendo da una domanda: se la Foppapedretti del 1946 avesse partecipato a Shark Tank, ci avrebbe investito? 

“Sì, l’avrei scelta. Perché? Perché c’era un progetto chiaro, lavorare il legno con qualità partendo dai giocattoli. Certo, in quell’epoca bastava produrre per vendere. Adesso invece il competitor è il  mondo e bisogna fare molta attenzione a tanti altri fattori, primo tra tutti la catena distributiva.”

Quali sono le caratteristiche di una start up vincente?

Ci vuole una idea, la più innovativa possibile, che assolva alle esigenze del mercato. Uomini che la sappiano condividere e che vogliano accettare i consigli degli altri.

E quelle che ne fanno presagire subito l’insuccesso?

E’ subito evidente che non assolvono a nessuna esigenza, che chi la presenta non ci crede fino in fondo. Quando ho di fronte qualcuno che mi parla partendo dai numeri e dalle indagini di
mercato, capisco subito che non c’è convinzione e sostanza. Sono la maggior parte.

Idea di business, business plan, squadra: in quale percentuale questi fattori possono decretare il successo di una start up?

Al primo posto metto la squadra, il fattore umano è determinante. Al secondo la proposta di prodotto o servizio. Infine il business plan, su questo si può lavorare parecchio.

Che cosa offre un investitore a una start up, oltre al capitale?

Tutta la sua esperienza, gli errori da non ripetere e le scelte vincenti. Il rischio più grande di una start up, e di una impresa in generale, è non volersi aprire al mercato e pensare di arrivare
al successo con poche risorse. Invece bisogna aprirsi ai capitali, se no non si va da nessuna parte. Anche Foppapedretti dovrà farlo, soprattutto per andare all’estero.

Quando finisce una start up e inizia un’impresa?

La start up finisce quando l’idea di business viene sviluppata e comincia a diventare prodotto o servizio che va sul mercato. E quando inizia a produrre utili.

shark tankPerché ha scelto di partecipare a Shark Tank?

Me l’hanno proposto e ho pensato che a 67 anni si poteva anche fare. Sono molto curioso e ho sempre bisogno di andare a vedere che cosa c’è oltre le colonne d’Ercole. Il mio motto è “Se continui a fare quello che sai fare, resti il c… che sei”, e la mia sfida attuale è proprio partecipare a un programma televisivo.

Che cosa l’ha sorpresa di più?

Ho visto tanti giovani che si sono presentati con uno sforzo di ricerca, meno bamboccioni di quanto altri pensino, provenienti soprattutto dal Sud. Giovani molto preparati che prima o poi riusciranno a raggiungere i proprio obiettivi. Mi sono rivisto in loro in qualche modo, sono affascinato dalla capacità creativa dell’uomo.

Qual è la principale differenza tra un manager e un imprenditore?

L’imprenditore usa suo capitale di rischio, il manager cerca di far remunerare il denaro ma non ha lo stesso pathos. E poi vorrei distinguere tra il prenditore e l’imprenditore. Il primo si
preoccupa “solo” di creare un giro d’affari. Il secondo crea anche posti di lavoro.

E tra investire in una start up e in una quotata in Borsa?

Quando si scommette su una start up si partecipa del successo e dell’insuccesso, investire in Borsa è molto meno coinvolgente.

Strategie di crescita di Foppapedretti con una particolare attenzione al ruolo del franchising. 

Al franchising non credo, e prima ancora non credo nei negozi monomarca perché il consumatore ha sempre più bisogno di confrontare le diverse proposte per la stessa esigenza, quindi credo che per stare con soddisfazione in un negozio debba avere di fronte la gamma completa del prodotto o servizio che cerca, in altri termini più proposte da marche diverse. Il multimarca però ha il limite di non proporre l’intero catalogo di una azienda, perché ne seleziona i prodotti il che si traduce in una diminuzione di possibilità di fatturato di una determinata azienda. La vera rivoluzione della distribuzione è stata internet, che ha moltiplicato le possibilità di offerta e di acquisto. Il futuro della distribuzione sarà l’integrazione tra canale fisico e virtuale. Foppapedretti punta molto sulla internazionalizzazione, all’estero la qualità del made in Italy è molto apprezzata. Abbiamo obiettivi importanti in Brasile, Giappone, Corea, USA.

Il suo fiuto di “squalo” per l’Italia.

Sono preoccupato per l’Italia, è un paese sclerotizzato e in fase di decadenza e, quel che è peggio, non vogliamo ammetterlo: per difendere i privilegi di pochi noi non stiamo dando opportunità ai giovani. Rimanere in Italia a produrre, operare con l’esempio per una azienda etica, investire nelle start up è il mio modo per fare la mia parte.

Leggi l’intervista completa sul Beesness di Luglio

 

Storia della Foppapedretti

C’era una volta una start up. Era il 1945, e la start up era l’Italia. Alle spalle, le macerie. Davanti, un futuro da inventare, con l’entusiasmo e la passione che ogni nuovo inizio pretende. Fu in quell’anno che nacque un’impresa destinata a diventare un’eccellenza del Made in Italy. Un’azienda creata dall’estro di Ezio Foppa Pedretti e dalla sua passione per il legno. Gli bastava niente per inventare giocattoli, perfino gli scarti del lavoro dello zio Pierino, falegname, che realizzava manici per ombrelli. Con i fratelli Tito e Letizia, Ezio diede vita alla Fabbrica di giocattoli dei Fratelli Foppa Pedretti, a Telgate, in provincia di Bergamo. Oggi il marchio Foppapedretti è un brand che non ha bisogno di presentazioni, sinonimo non solo di giocattoli, ma in generale di articoli in legno ad alto contenuto di funzionalità, innovazione, ecologia. E l’azienda, dove tutt’ora lavorano i quattro discendenti di Ezio, è diventata una famiglia allargata, con diverse divisioni e un fatturato di 65 milioni di euro nel 2013.

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